Il gruppo è uno spazio aperto nel quale i membri possono condividere, in un confronto spontaneo ed emotivamente coinvolgente, le proprie esperienze e le proprie difficoltà.
Ogni gruppo è diverso dall’ altro, è specifico e unico poiché specifiche, uniche ed emozionanti sono le esperienze dei partecipanti passate, ma anche presenti, che nascono all’ interno del gruppo costituito. Pertanto il gruppo fornisce un luogo, un contenitore relazionale che diventa specchio della vita esterna, quotidiana ma nel quale le forti emozioni possono esplodere poiché il conduttore, ed il gruppo stesso, possono contenerle e rimandarle, creando una maggiore conoscenza di sé.
Riportiamo un po’ di aspetti storici sul tema trattato.
La terapia di gruppo ha origini lontane. Nasce agli inizi del secolo scorso, all’ interno di un ospedale americano, con l’obiettivo di far confrontare alcuni malati di tubercolosi per poter contenere meglio l’angoscia di tutti loro e per permettere agli stessi di condividere i propri stati d’ animo con gli altri.
In pochi anni alcuni psichiatri, tra cui lo psicoanalista Adler, hanno avviato esperienze di trattamento in gruppo. Negli anni trenta Moreno ha ampliato e dato forma ancora più particolareggiata al lavoro in gruppo attraverso lo Psicodramma (tecnica terapeutica di cui si tratterà in altra occasione). Fondamentalmente ciò che ha dato sempre più voce al gruppo e alla sua forte spinta terapeutica, soprattutto con le psicosi e le dipendenze – da alcool in particolar modo- è stata la necessità di creare un’alternativa alla terapia individuale. Proprio durante questi primi approcci ci si è resi conto della forte valenza psicologica e di sostegno che può dare questo differente modo di fare terapia. Il soggetto difatti, come si scriveva, all’ interno della terapia di gruppo, in un confronto orizzontale con gli altri membri, sente di poter condividere i propri stati d’animo e di essere capito. Nel gruppo ciascuno può esprimersi liberamente, senza paura di essere giudicato e questo ha una forte funzione catartica. La persona che spesso si sente solo bisognosa d’aiuto inizia a modificare la visione che ha di sè e inizia a pensare che può anche dare aiuto agli altri, che può avere la forza di trasmettere emozioni e sensazioni positive, che la propria esperienza può essere di supporto anche ad altre persone.
La terapia di gruppo può avere differenti orientamenti: psicoanalito, cognitivo-comportamentale , sistemico-relazionale, quello che fa capo all’approccio della Gestalt. Si può, inoltre, sviluppare in modo differente anche all’ interno dello stesso modello passando dall’avere una funzione di supporto ad una di possibile espressione di se’ anche con elaborazione dei vissuti, oppure può avere un obiettivo informativo o anche educativo, o di sostegno.
In essa viene utilizzato prevalentemente il canale verbale ma si possono inserire anche altre forme di comunicazione, come nell’arteterapia o nello psicodramma, in cui si lascia spazio all’espressione di sé attraverso il corpo e la creatività nelle sue differenti forme (ad esempio, la pittura, la scrittura creativa).
Ci sono, inoltre, diverse tipologie di gruppi:
Gruppi aperti/gruppi chiusi. I primi sono quei gruppi nei quali vi si può entrare ed uscire liberamente anche se il percorso insieme è stato già avviato. I secondi, invece, sono molto più rigidi. Si mantiene la modalità e i partecipanti con cui si parte; nessuno può più entrare una volta avviato il lavoro.
Gruppi direttivi/gruppi non direttivi. Nei primi le regole e la conversazione sono molto definite e gestite dal conduttore; nei secondi invece la conversazione è più libera
Gruppi agiti/e gruppi verbali: nei gruppi agiti si comunica tramite il linguaggio corporale invece in quelli verbali tramite la parola.
Gruppi omogenei/gruppi eterogenei: nei primi si organizza il gruppo a seconda di una caratteristica uguale per tutti i membri (per esempio, l’eta’, la tipologia di problema); nel secondo, invece, non ci sono caratteristiche specifiche già definite all’inizio ed il gruppo è eterogeneo rispetto all’ età, al tipo di problema e alla classe sociale.
La frequenza con cui il gruppo si può incontrare è prevalentemente ogni settimana per max due ore. Durata che si riduce laddove ci siamo pazienti psichiatrici, soprattutto negli ospedali, in quanto questi tendono ad avere una tenuta inferiore e ad essere anche appesantiti dall’utilizzo di farmaci.
Il gruppo dovrebbe arrivare alla conclusione ed alla chiusura degli incontri quando tutti gli obiettivi sono stati raggiunti. In realtà sono tanti i fattori, spesso anche esterni (trasferimenti, cambio di turni, riduzione delle possibilità economiche, ecc.), che possono portare a che il gruppo si sciolga. Le emozioni che si presentano nel momento in cui si definisce la conclusione del lavoro, possono essere ovviamente differenziate a seconda delle caratteristiche, del grado di coinvolgimento e delle aspettative iniziali di ognuno dei componenti. Si può passare dalla felicità, al senso di abbandono; dalla serenità alla sensazione di essere ancora fragili ed inadeguati. Ovviamente la parte emotiva deve essere motivo di discussione e di esplicitazione libera all’interno del gruppo per arrivare ad un buon grado di rassicurazione e di buona idealità di sé.
Per rendere più esplicito quanto detto, si vuole ora raccontare un episodio indicativo rispetto alle dinamiche di gruppo che possono intervenire in questo tipo di lavoro terapeutico. Nel caso che si sta per raccontare, l’attenzione è stata focalizzata su un partecipante che ha portato un suo blocco interno molto profondo, una difficoltà forte a procedere nel suo percorso di vita e nei suoi affetti.
Questo di cui si va a parlare è un gruppo nel quale si comunica con il corpo.
Ormai sono stai fatti parecchi incontri, c’è una certa confidenza ed empatia all’ interno del gruppo per cui Matteo, questo è il suo nome fittizio, si sente libero e pronto ad affrontare insieme agli altri componenti il problema che porta loro. L’ emotività presente in questo gruppo è forte e intensa. Matteo inizia a raccontare: dopo la morte del padre a causa di un tumore devastante, malattia che ha fatto soffrire il padre e tutti i suoi familiari per lungo tempo, lui si dispera perché insieme alla sua famiglia aveva deciso di non dire al padre della malattia di cui soffriva e che la morte era vicina. Adesso pensa che hanno sbagliato poiché, secondo lui, il padre lo avrebbe voluto sapere. Da quando questi è morto Matteo non riesce a pensare ad altro. E’ bloccato sulla paura che la sensazione di non poter fare più nulla gli devasti la vita.
La conduttrice, a questo punto, chiede di rappresentare, insieme agli altri membri del gruppo presi come attori, le ultime fasi della malattia del padre. Chiede di rappresentare un incontro tipico tra il padre e i vari membri della famiglia per far rivivere quei momenti emotivamente forti a Matteo.
Il protagonista del racconto deve interpretare il padre malato e deve scegliere e dare i ruoli agli altri membri. La conduttrice è molto attenta al fatto che gli altri interpretino emotivamente ciò che effettivamente ha vissuto il padre e tutti i familiari rappresentati.
La rappresentazione si mette in scena più di una volta finché il protagonista sente di essere soddisfatto di come tutti i personaggi interpretano la situazione. Questo è fondamentale perché è importante riprodurre l’ambiente emotivo ed affettivo precedentemente vissuto.
Il clima è molto teso ed emotivamente carico ma, proprio rivivendo se stesso nel ruolo del padre, Matteo ad un certo punto riesce a capire che nessuno di loro ha detto la verità al padre perché era il padre stesso che non voleva saperla. Questi, con i suoi atteggiamenti di blocco e di chiusura rispetto alla verità, aveva mandato messaggi chiari su come gli altri membri della famiglia dovevano comportarsi rispetto alla sua malattia, probabilmente un po’ per proteggere i suoi stessi familiari e un po’ per proteggere se stesso. Ciò ha tolto un forte peso a Matteo. Il gruppo è riuscito a supportarlo e a far uscire fuori la sua forte angoscia. La conduttrice è riuscita a contenerla e a farla rielaborare.
E’ evidente che il gruppo è una sorta di elemento a sé, un elemento terzo, oltre agli individui e al conduttore; ha una identità propria che include le identità di tutti ma, nello stesso tempo, è esterno quanto basta per poter osservare e comprendere meglio la narrazione emotiva di ogni componente potendone dare letture differenti dall’unica che il singolo è capace e “intoppato” nel dare.
Dott.ssa Stefania Martina – Psicologa e Psicoterapeuta familiare
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