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Il Fantasma di Sandokan: Salgari snaturato!

Un mito piegato al conformismo televisivo

 

 

di Patrizio Pavone

 

 

Per chi ha seguito la prima e seconda puntata Rai Uno, abbiamo visto un Sandokan completamente trasformato, reiventato, scolorito, troppo modernizzato e di fatto irriconoscibile per chi aveva letto e si era appassionato agli oltre dieci volumi scritti dal suo vero autore veronese, Emilio Salgari.

 

Se questa serie ha raccolto consensi di pubblico ha deluso enormemente per una serie di grossolani svarioni, falsi storici ed ambientazioni fasulle, con un crollo di credibilità e pochezza dei personaggi stessi.

 

Nel mito salgariano Sandokan è un principe spodestato dal suo regno nel Borneo, cui hanno distrutto l’interra famiglia. E così lui si trasforma in pirata, ma non assetato di saccheggi ma dedito alla vendetta e alla lotta anticoloniale.

 

In questo “fumettone” appena trasmesso invece Sandokan viene presentato come un trovatello allevato da una prostituta, in cui prevale solo un sentimento da avventuriero senza nessun eroismo. Insomma solo muscoli senza cervello!

 

Marianna, che Salgari presentava come una giovane nobildonna inglese che subito si innamora di Sandokan per la sua figura carismatica, il suo indomito coraggio, la sua schiatta reale, viene invece rivisitata come una ragazza fin troppo emancipata (gira da sola di notte a cavallo in abiti succinti) per essere una donna dell’ottocento. E poi non sa resistere alle attenzioni di altri soggetti che non siano Sandokan, come lord Brooke.

 

Ebbene James Brooke (che comunque è esistito veramente) e che fu governatore di una città predominio inglese come Sarawak) nei libri dello scrittore veronese non è l’antagonista sentimentale di Sandokan (ed appare poi addirittura nel libro successivo, quando Marianna è ormai morta), che invece è un baronetto inglese (Rosenthal). Mentre in questa storia in tv il governatore è lord Guillonk, padre di Marianna, (mentre invece ne era lo zio).

 

I Tigrotti di Mompracem, cuore pulsante delle rivolte di Sandokan contro il “leopardo inglese”, in questa serie televisiva diventano solo cialtronesche presenze, una sorta di figuranti occasionali che non legano con la storia, snaturandone l’essenza ribelle, quasi risorgimentale di un gruppo di eroi che si immolava per l’indipendenza della Malesia. Insomma una specie di banditi, assetati di rapine e di bottini.

 

Yanez, forse il personaggio più simpatico dei romanzi salgariani, amico e “fratellino di adozione” della Tigre delle Malesia, intelligente, furbo, ironico, elegante, una vera mente che si unisce al braccio pulsante del pirata, qui viene fatto diventare una specie di buffone, che si esprime in battute sciocche e demenziali, figura del tutto inutile nella trama e nelle avventure che vedono Sandokan orbato del suo vero alter ego.

 

Infine anche la location è del tutto falsa: le scene girate in Toscana, Calabria e teatri di posa, privano totalmente del fascino esotico l’intero contorno, decontestualizzandolo. Nelle riprese si notano i pini italiani, le essenze mediterranee e delle colline sterili quasi desertiche che non esistono nelle isole della Sonda, nel Borneo e nella Malesia. Una vera gaffe di sceneggiatura, risibile a chi, smaliziato ed attento, vi presta attenzione.

 

Sbagli grossolani poi nelle musiche di Verdi (le cui opere sono successive alla storia dei pirati), l’ipotesi che Sandokan potesse subire una ipotermia per l’acqua marina fredda, mentre in quei mari la temperatura media è di 30 gradi, nella violenza fisica che il pirata riserva a Marianna, nella scimitarra impugnata con la lama alla rovescio, denotano una nullità nei particolari davvero imperdonabile.

 

Insomma più che un romanzo, seppure apocrifo, riscritto da chi forse non ha mai letto l’autore veronese, sembra una pantomima burlesca della vera storia salgariana, dove personaggi, spirito, scene, linguaggio, azione, dovrebbero solo far rivoltare Salgari nella tomba se solo avesse visto queste prime due puntate. Sicuramente da non guardarle più nelle domeniche successive, ben diverse da quelle con Kabir Bedi del 1976 con un superbo Philippe Leroy e una affascinante Carol Andrè.

 

 

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