Cosa possono fare i Comitati di Quartiere e le varie associazioni di volontariato operanti sul territorio per contribuire in modo costruttivo all’ausilio della prevenzione a questa piaga sociale?
Prendendo spunto da quanto emerge dal primo rapporto sulla criminalità nel Lazio presentato in Regione dalla presidente Polverini che vede la nostra città ai primi posti dopo la capitale per numero di crimini commessi, nasce spontanea una riflessione. Cosa possono fare i Comitati di Quartiere e le varie associazioni di volontariato operanti sul territorio per contribuire in modo costruttivo all’ausilio della prevenzione a questa piaga sociale?
Conosciamo sulla nostra pelle il problema. Il nostro quartiere Fiumara Grande è abitato soprattutto da sottoproletariato la cui parte giovanile vive spesso in modo border-line rispetto alla criminalità e comunque ad altissimo rischio. Nelle tante iniziative che si richiedono ad un CDQ vi deve essere anche, a nostro avviso, un dovere educativo nei confronti proprio delle giovani generazioni; per cercare, in sinergia con i servizi sociali, di invertire quanto più possibile questo trand negativo.
Oggi, infatti, il recupero del soggetto che impatta con il sistema penale, richiede una programmazione estremamente personalizzata d’interventi che vede impegnati ed interagenti vari soggetti: il minore, la famiglia, l’ambiente in cui vive (scuola, lavoro…), i Servizi sociali ministeriali e, non ultimi, quelli del territorio.
La disponibilità, i segni dell’accoglimento, le funzioni di sostegno, strutturazione e contenimento svolte dalla comunità, costituiscono il fondo del terreno relazionale su cui articolare norme, regole e autorevolezza. Perchè tale relazione sia costruita come strutturante e rassicurante, la quotidianità del rapporto appare fondamentale e niente più di una struttura operante sul territorio, integrata e parte stessa di esso come un comitato di quartiere e/o una associazione territoriale garantisce questa quotidianità.
L’ipotesi di fondo è che l’orientamento al futuro, la dimensione progettuale siano fattori costitutivi dell’identità: scopi da raggiungere, progetti cui partecipare, diventano dei dispositivi per cominciare a sperimentare l’efficacia e la praticabilità di nuovi e differenti modi di pensare e di agire. In altri termini, la presa di distanza dal passato è il prodotto di un differente modo di agire nel presente e di pensarsi nel futuro.
Da qui, l’idea del comitato e/o associazione come punto di riferimento locale: l’idea di fondo, è l’inversione di direzione; non è il minore che va o è condotto al servizio sociale, è il servizio che va verso il minore e lo incontra o lo aggancia là dove si trova.
I presupposti sono quelli della pedagogia territoriale, particolarmente indicati ad orientare l’intervento educativo in ambiti in cui la devianza ha o rischia di avere carattere strutturale e non occasionale, in quanto sostenuta e legittimata dal tessuto sociale e dalla cultura locale.
I punti di forza di una struttura radicata territorialmente sono infatti molteplici: conoscenza delle categorie locali. Regole, norme e modelli di comportamento attraverso cui adulti e minori interpretano e ordinano la loro realtà, stabiliscono significati, stringono alleanze, contrattano modalità e margini di accesso al loro mondo, accordano fiducia o diffidenza.
La conoscenza di questo ordine di fattori è decisiva: un minore che ha abbandonato la scuola ed ha contatti con la criminalità può aver trovato in questo non solo una gratificazione economica personale, ma anche il modo di contribuire responsabilmente al bilancio familiare.
Ancora, abbiamo già accennato che la devianza può funzionare come un vero e proprio percorso formativo, costellato da prove d’iniziazione alla vita adulta in cui il coraggio, l’intraprendenza e la spregiudicatezza sono fondamentali.
In questo senso, qualunque opportunità alternativa rischia di non fare alcuna presa sul minore se non si inscrive sulle categorie locali, se non risponde alle esigenze del tessuto sociale.
Diventa però essenziale la costruzione di una “rete” di collaborazioni con i servizi sociali del Comune e con gli eventuali soggetti referenti dell’autorità Giudiziaria minorile, assistenza sociale e quant’altro.
La metodologia di rete, si è confermata come l’unica risposta possibile che il territorio può dare alla complessità tipica del nostro sistema sociale, allo scopo di evitare le forti autoreferenzialità dei diversi Enti e Istituzioni pubbliche, lo spreco di risorse professionali ed economiche.
Nelle nostre priorità quindi, metteremo al più presto la presa di contatto con i servizi sociali del Comune per organizzare un incontro dove discutere su come una struttura come la nostra o comunque associativa territoriale può muoversi e collaborare all’attuazione di un piano sinergico per combattere dal di dentro il fenomeno della devianza giovanile.
Edoardo Morello