
Alcune riflessioni tristemente ispirate dall’ennesimo episodio di violenza, a Fiumicino verso una donna
Lavorare nel mondo dell’informazione è un privilegio ma anche difficile.
È un privilegio perché raccontare, ascoltare per dar voce è un onore. Ma ci sono momenti in cui è davvero difficile proprio raccontare.
Lo è quando bisogna raccontare la violenza. E diventa ancor più difficile non porsi domande, rimanendo obiettivi.
Quanta forza ci vuole per sopportare e, quanta, per uscire da una spirale nella quale ti ritrovi a vivere, giorno dopo giorno, costretta oltre la tua volontà mentre perdi la dignità di persona e, con essa, la possibilità di sorridere; di esprimerti; di amare te stessa; di agire e pensare come meglio credi; di non abbassare la testa; di vestirti come piace a te e seguire i tuoi tempi, le tue passioni, i tuoi amici?
Quanta forza ci vuole per non perdere la libertà mentre cerchi di non soccombere, mantenendo ancora un briciolo di amor proprio che ti spinge a resistere, nonostante il dolore, le ferite e l’alienazione tentino di spegnere le poche energie rimaste a garanzia dell’istinto di sopravvivenza?
Quanta forza, poi, ci vuole per mandare giù quei bocconi amari fatti di lacrime e sangue?
E quanta dignità rimane quando attraversi una strada di notte, da sola o mentre decidi di entrare in quel bar, con tacchi e rossetto che già “la dicono lunga” e ti chiedi se, forse, davvero te la sei cercata?
E quanto tempo ancora devi aver paura di spezzare quella spirale malata? Quante percosse, ingiurie, offese e privazioni servono a patteggiare la libertà?
E quando una donna sarà autorizzata a dire no?
Forse, ci vorrà ancora molto tempo prima che maturi la consapevolezza sociale che una donna è una donna, nient’altro di meno o di più dell’essere uomo. Forse, ci vorrà ancora molto tempo prima che sia lecito andare quando non si ha più nulla da dire perché, spesso, i sentimenti finiscono e bisogna accettarlo, anche se a deciderlo è una donna.
Perché, da donna, vorrei non sentire che la fine esiste solo quando smette di battere un cuore tra le mani di chi diceva di amarti e che “se non sei per me, allora per nessuno”.
E, mentre mi pongo domande, ancora scrivo e leggo di donne che sopportano, soffrono, urlano dentro l’anima e che muoiono.