Omaggio alla Sicilia

Lunedì, 02 Luglio 2012 10:30

Autore: Fiumicino-Online

“E’ meglio una risata di cuore che l’angoscia nel cuore”

Salve a tutti, desidero simpaticamente donare un regalo ai lettori Siciliani, speriamo ce ne sia almeno uno.
Qualche tempo fa ho letto un bellissimo libro di Anrea Camilleri, quest’anno ne ho riletto una parte che ho trovato esilarante. Mi sono venute le lacrime agli occhi per il forte ridere. A dire il vero, e facendo uno stretto esame di coscienza, non ho fatto che scrivere storie un po’ tristi. Quest’oggi, pur nella sua notevole brevità riporterò il brano che vi dicevo sperando vi faccia ridere, così come è successo a me.
Sappiate, cari affezionati lettori che il sorriso aiuta a star bene.
“E’ meglio una risata di cuore che l’angoscia nel cuore”.
Chiaramente non vi ho detto nulla di nuovo, voi tutti sapete bene cos’è bene per ciascuno di noi.
Altra goccia di saggezza: “Se percepisco il mondo intorno a me mio acerrimo nemico, il problema è mio. Occorre che mi riveda negli ultimi mesi ed anni”.
Se per caso mi accordo che il  mio “essere” è cambiato in peggio ho bisogno di dare aiuto alla mia mente. Penso troppo e non dò al mio cervello la possibilità di riposare.
Ciascuno tragga le sue conclusioni… meditate gente… meditate.
 
Lo zù Japico, finito il travaglio e prima che faciva notte, si mittiva a contare storie e tutti stavano ad ascutarlo. Perciò quella sira contò la storia di Noé e del pidocchio.
“Quannu lu Signori Dio si stuffò di l’òmini che si facivano sempri la guerra e si scannavano in continuazione, addecise di scancellarli dalla facci di la terra facenno viniri lo sdilluvio universali. E di chista ‘ntinzioni ne parlò con Noé che era l’unico omo onesto e bono che c’era. Ma Noé  gli fici notari che, ‘zemmula all’òmini, sarebbero macari morte tutte le vestie che non ci avivano colpa per lo sdegno del Signori. Allura lu Signori gli disse di flabbicare una varca di ligno, chiamata arca, e di faricci trasire dintra una coppia, mascolo e fimmina, di tutti gli armali.
Accussì l’arca avrebbe galleggiato e doppo, passato lo sdilluvio, l’armali avrebbero potuto figliare. Noé arriniscì a farisi dare il primisso di portarisi nell’arca macari a so mogliere e ai so tri figli e po’ spiò al Signori come avrebbe potuto avvertire tutti l’àrmali del munno.
Lu Signori disse che ci avrebbe pinsato lui.
‘Nzumma, a farla brevi, quanno tutti l’àrmali trasero, principiò lo sdilluvio. Doppo tri jorni, una notti che tutti dormivano, Noé sintì una vociuzza vicina all’oricchio: “Patriarca Noé! Patriarca Noé!”  “Cu è?”  “Siamo dù piducchi, marito e mogliere”  “Pidocchi? E che erano? Mai Noé li aviva sintito nominare”.
“E indove state che non vi vedo?”
“Supra la tò testa, in mezzo a li tò capilli” “E che ci fate?”  “Patriarca, lu Signori Dio si scordò d’avvertiri macari a nui dello sdilluvio. Ma nui l’abbiamo saputo l’istisso e ci siamo arrampicati supra di tia” “E di che campate, pidocchi?” “Campiamo della lordìa che c’è nella testa dell’omo” “Qua potiti morire di fami! Io mi lavo i capilli ogni jorno!” “Eh no, Patriarca! Tu ti pigliasti l’impegno di barbari tutti l’àrmali! Nui abbiamo diritto a nutricarci come le altre vestie! Epperciò tu ora e fino a quanno che dura lo sdilluvio, non ti lavi cchiù!”
“E lo sapiti, gente mia, pirchì lu Signori Dio si era scordato d’avvirtiri i pidocchi? Pirchì i pidocchi sunno come i bracianti stascionali, che macari Dio si scorda che esistino”.
 
BBB Maria Pina
 
 
 
 
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Pubblicato in Il Segnalibro