Sulle orme di Pasolini a Fiumicino: “Un buio incendio” 1922-1975

Lunedì, 21 Marzo 2022 08:57

Autore: Fiumicino-Online

Lo sguardo di Pier Paolo Pasolini su Arte Urbanistica e Cultura, a cura dello storico dell’arte Sandro Polo

di Elisa Josefina Fattori
 
Nel corso della propria vita Pier Paolo Pasolini fu testimone dei cambiamenti che segnarono la storia dell’Italia nel Novecento: il fascismo, la ricostruzione, il boom economico e gli anni di piombo costituirono lo sfondo sociale che lui indagò e raccontò.
 
Il 19 marzo 2022 alla Casa della Partecipazione di Maccarese si è tenuto il primo incontro organizzato dal Comune di Fiumicino per onorare il centenario della nascita di Pasolini. Lo storico dell’arte Sandro Polo ha tenuto la lezione “Un buio incendio. 1922-1975: Lo sguardo di Pier Paolo Pasolini su Arte, Urbanistica e Cultura” ripercorrendo gli sviluppi dell’arte, della cultura, dell’architettura, dell’urbanistica e dando corpo al complesso segmento di storia di cui Pasolini ha offerto una delle letture più autentiche e lucide. Per una visione profonda e lungimirante che – a distanza di mezzo secolo dalla tragica scomparsa dell’artista – continua a porre interrogativi per la sua attualità.
 
Nel gennaio del 1950 Pasolini si trasferì a Roma, in un primo tempo a piazza Costaguti, dove viveva in una stanza in affitto ma poi, grazie all’aiuto del poeta dialettale Vittorio Clemente – allora ispettore scolastico nella Capitale – ottenne un lavoro come insegnante a Ciampino, dove si spostò. Si iscrisse inoltre al sindacato comparse di Cinecittà. Nel 1951 conobbe un giovane imbianchino, Sergio Citti, che lo avrebbe aiutato ad apprendere il gergo romanesco, rappresentando – come in seguito disse lo stesso Pasolini – il suo “dizionario vivente”, mentre dal 1954 al 1963 abitò a Monteverde, e proprio a Donna Olimpia è ambientato il primo dei sui romanzi popolari romani: “Ragazzi di vita”.
 
Probabilmente per Pasolini non c’è stata una scelta preordinata ma una specie di coazione del destino e, poiché ognuno testimonia ciò che conosce, non poteva che testimoniare la borgata romana. Provenendo dall’universo contadino friulano si trovò al cospetto delle borgate: componendo già in dialetto tutte le sue poesie, era innanzitutto interessato alla glottologia (e anche in questo aspetto Pasolini era antifascista, poiché il fascismo aveva odiato il dialetto) ma venne anche affascinato dalla vita povera ed umile, in cui riscontrava una sorta di rito arcaico. Come se lì Pasolini trovasse ancora un qualcosa di sano, di primitivo, soprattutto nelle relazioni, anche nella stessa violenza, in contrasto ad una borghesia manierata sempre più vuota di contenuti.
 
Lo incantava che nella povertà potesse esserci un’allegria, un amore dato da chi amava senza essere ricambiato. Così come succederà a lui: racconterà le borgate in una solitudine personale, dato che la fascinazione per questo mondo, di cui diventerà il poeta, è convissuta con una sorta di teorizzazione, poiché questo non è il suo mondo e lui lo guarderà sempre da ospite.
 
“Accattone”, film del 1961, è l’inno a questo universo di esclusi. L’aspetto interessante di “Accattone” da un punto di vista cinematografico è che Pasolini fa recitare attori non professionisti e, per portare un elemento di freschezza ed autenticità all’interno dell’opera, decide che la lingua parlata deve essere quella autentica.
 
In questi anni l’elemento messo a fuoco da Pasolini sono gli esclusi, e la loro conseguente cancellazione antropologica poiché tutte queste persone, nello sfacelo della povertà più totale, quando poi saranno collocate nei palazzoni delle case popolari, anziché nelle baracche, diventeranno “altri” iniziando – prima di tutto – a non parlare più la propria lingua. Perché avranno la televisione. E la mattina non correranno più per rimediare qualche soldo, ma per comprarsi la cinquecento decapottabile piuttosto che la lavatrice. Pasolini lo battezzerà il “mutamento antropologico”.
 
Quella omologazione che il fascismo non riuscì ad ottenere, la otterrà perfettamente il consumismo, togliendo realtà ai vari “modi” di essere uomini che storicamente l’Italia – in modo molto differenziato – produsse.
 
 
 
 
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