Giornata mondiale del prematuro

Venerdì, 13 Novembre 2015 12:35

Autore: Armando De Vellis

Giornata mondiale del prematuro
"I miracoli più forti della vita sono quelli più piccoli"

di Camilla Targa
 

Quando mi è stato chiesto di scrivere la mia testimonianza riguardo il tema prematurità ho accettato all’istante senza nemmeno pensarci, in parte perché la richiesta è arrivata da persone che stimo profondamente sia come professioniste che, soprattutto, come donne, ma anche perché credo fermamente che una maggiore diffusione di informazioni e supporto per chi si trova ad affrontare questo tipo di esperienza potrebbe essere di grande aiuto. Poi, però, una volta acceso il computer ed aperto un nuovo documento di word per iniziare a scrivere, mi son ritrovata bloccata. Definire titanica l’impresa di descrivere in parole il mondo parallelo in cui io e la mia famiglia ci siamo, neppur troppo coscientemente all’inizio, ritrovati a vivere è un eufemismo; chiedo quindi  anticipatamente venia ai lettori se il mio scritto non sarà esaustivo, sarà incompleto e mal strutturato, cioè esattamente come è la nostra vita in quanto genitori di un bambino prematuro.
 
Ho scritto “mondo parallelo”, l’ho scritto di getto e credo lo lascerò lì in quella frase perché è proprio questo lo spunto da cui, mentre scrivo, sto decidendo di partire. E’ proprio questo il posto dove si è improvvisamente e dolorosamente catapultati quando un medico, ancora troppo, “troppissimo” presto per essere vero, ti dice che tuo figlio dovrà a breve essere fuori dalla sua culla materna, dalla tua pancia ancora così poco prominente che tante persone non hanno fatto nemmeno in tempo a capire che fossi incinta. Per me l’incubo è iniziato il 30 marzo 2014, Liam sarebbe dovuto nascere il 15 giugno. Sono quelle cose che si vedono solo nei film strappalacrime, quelle cose che succedono soltanto a qualcuno particolarmente sfortunato da qualche parte sconosciuta del mondo; personalmente, non avevo mai sentito nessuno raccontare esperienze neppure lontanamente simili a tutte le storie drammatiche in cui mi sono imbattuta poi e che purtroppo continuo a leggere ogni giorno nei gruppi di questo mondo un tempo parallelo ed ora divenuto mio. Non avevo mai sentito pronunciare la parola prematuro. Sembrava fantascienza. Eppure, un bambino su dieci nasce troppo presto. Un bambino su dieci viene attaccato a fili e tubi anziché al seno. Un bambino su dieci non vedrà la luce del sole per mesi. Un bambino su dieci non avrà il calore della mamma a cullarlo per le sue tante, prime notti.  Un bambino su dieci ha alte probabilità di non farcela. Parliamo di 15 milioni di bambini ogni anno.
 
Liam è dovuto nascere durante la trentunesima settimana di gestazione per via di una malformazione al canale uretrale. Era lungo 38 cm e pesava 1310 grammi. La prima volta che mi è stato possibile vederlo aveva già più di 24 ore di vita ed era attaccato a tantissimi fili, intubato ed alimentato in vena. Poco tempo fa ho mostrato la sua foto di quando aveva una settimana ad una nuova amica e lei mi ha detto “Sembra un’ecografia 3D, non è un bambino”. Liam ha passato 53 giorni nel reparto TIN (Terapia Intensiva Neonatale), un luogo incredibilmente astratto, quasi un microcosmo autonomo all’interno dell’ospedale. Si varcano le porte (solo i genitori, i nonni dietro richiesta ed appuntamento) e ci si barda con camici monouso, mascherine e copriscarpe, poi ci si lava e disinfetta le mani prima di accedere alla camera dove questi minuscoli, preziosi e fragilissimi esserini sono isolati, ognuno nella propria incubatrice, collegato ai propri macchinari, e seguiti costantemente dai loro angeli protettori che silenziosi si aggirano continuamente nella sala. Per quasi due mesi ho potuto vedere mio figlio soltanto due ore al giorno, e per tutto il primo mese ho potuto toccarlo soltanto attraverso gli oblò della scatola di plastica trasparente in cui era rinchiuso. Per quasi due mesi abbiamo vissuto appesi ai suoni dei macchinari, il pensiero fisso ai parametri dei monitor, il cellulare perennemente accanto ed il terrore di ricevere una chiamata dall’ospedale. Si sono susseguite albe e tramonti senza alcun senso, è passata Pasqua, il Primo Maggio e la Festa della Mamma, ma noi non ci siamo accorti di niente. Abbiamo vissuto in apnea, l’unico momento di vita nelle nostre giornate erano i 120 minuti passati in piedi accanto alla sua incubatrice ed i messaggi con le notizie che poi mandavamo a casa mentre, mano nella mano e con lo sguardo a terra, percorrevamo il corridoio verso il parcheggio.
 
Durante il suo soggiorno in TIN, Liam ha avuto bisogno di diverse trasfusioni ed ha avuto una brutta ricaduta, ma è sopravvissuto. A differenza dei tanti, troppi, bambini, che abbiamo visto scomparire, angeli invisibili nel dolore tagliente dei genitori dalla vita ormai spezzata, lui è tornato a casa. Aveva quasi due mesi, pesava 1980 grammi e mangiava 30 ml di latte a poppata. Era un piccolo sconosciuto con cui avevo tanta voglia di fare conoscenza ed uno struggente bisogno di cominciare, finalmente, a rapportarmi. Una settimana dopo la sua uscita eravamo di nuovo in ospedale, per la sua prima operazione. Ha avuto complicazioni ed ha soggiornato nella Terapia Intensiva Pediatrica. Otto giorni dopo festeggiavamo il suo secondo ritorno a casa; purtroppo anche questo è durato poco, tutto il mese di luglio Liam lo ha passato con una flebo fissa sulla tempia per via di forti infezioni urinarie. Con otto mesi e diversi esami invasivi alle spalle, a gennaio 2015 Liam è stato operato al canale uretrale per la risoluzione del suo problema primario. Dieci giorni dopo, a seguito di un arresto cardiorespiratorio dovuto alla setticemia che lo stava divorando a causa di batteri presi in sala operatoria, giaceva in coma nella sala di rianimazione. E se dopo un paio di interminabili giorni sembrava finalmente scongiurato il pericolo di morte, per lungo tempo non ci è stato dato sapere se Liam avrebbe avuto conseguenze a livello cerebrale. Alla fine, dopo un altro mese di drammatico ricovero, il nostro piccolo grande guerriero si è disintossicato dai sedativi, ha sconfitto il trombo che gli si era formato nella giugulare, ed è tornato a casa con la sua incredibile forza e voglia di vivere.
 
Liam ha toccato l’erba per la prima volta all’età di dieci mesi, ha messo i piedini a mollo nell’acqua di mare ad un anno compiuto. Per quest’anno non è potuto andare al nido a causa della sua salute troppo cagionevole, infatti a settembre è stato nuovamente ricoverato di urgenza per una crisi convulsiva dovuta alla febbre alta per una polmonite. E’ piccolino, ha imparato a camminare da solo da un paio di mesi ed ancora non sa dire nessuna parola, ma ride, gioca e fa una vita normale. Liam è stato fortunato. Ha una retinopatia di secondo grado ma non è cieco, come molti prematuri. Ci sente benissimo, a differenza di moltissimi prematuri che devono portare apparecchi acustici fin da piccoli. Non ha apparenti difficoltà motorie né ritardi mentali, e non ha bisogno di essere ancora attaccato all’ossigeno, tutte cose frequenti nei bambini nati troppo presto. Probabilmente soffrirà di iperattività e disturbo dell’attenzione, magari sarà un pochino più lento nell’apprendimento, ma è un bambino autonomo, e di questo non possiamo che essere grati.
 
Noi cerchiamo di far crescere il nostro cucciolo prematuro nel modo più simile possibile agli altri bambini, affinchè almeno lui non senta né conservi la sua diversità. Almeno lui, perché noi saremo indelebilmente segnati a vita, un dolorosissimo marchio a fuoco che si legge nella tristezza di fondo dei nostri sguardi, nelle rughe improvvise comparse sui nostri visi e nella stanchezza quotidiana dei nostri gesti. Un segno che ci ha spaccato l’anima in pezzi che non combaceranno mai più, un dolore che ombrerà sempre il sorriso quando parlerò di un figlio a cui è stato negato tutto ciò che sarebbe sacrosanto diritto di un neonato. Un terrore che mi accompagna ogni momento che non lo ho accanto, un’ansia che mi trafigge ogni starnuto che lo sento fare. Il mio respiro sospeso ogni notte per sentire se il suo c’è, il mio battito di cuore in pausa se lo sento piangere e non capisco perché.
 
Ho provato a dargli un fratellino, ho provato nonostante sapevo che avrei vissuto una gravidanza appesa ad un filo, ho voluto farmi coraggio e guardare avanti verso un possibile arcobaleno. L’avventura non è andata bene, ed è stato un duro colpo. Ma paradossalmente mi ha fatto anche rivalutare l’immenso valore di questo incredibile guerriero, che la mattina si sveglia spettinato, si mette in piedi nel lettino e mi sorride. Ogni sua più piccola conquista significa il mondo intero per noi, ogni minuscolo progresso è un premio ricevuto, ogni sera ringrazio per la profondità delle emozioni che questo miracolo di bambino ci dona costantemente. Ogni momento mi sento speciale, più di quanto avrei mai immaginato si potesse sentire una madre. Sono la mamma di un combattente, un combattente vincitore che ha già dimostrato più volte di saperla più lunga di me che scrivo e tutti voi che leggerete o ascolterete. Un combattente che ha saputo sfidare e vincere il destino.
 
Ed eccola qui la fine del racconto, il mio cuore è in mille e più pezzettini che non si ricomporranno più come erano prima, ma che nella loro nuova disposizione pulsano con più forza che mai e mi insegnano ogni giorno ad amare la vita un pochino di più.
 
 
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