Un sogno chiamato Italia

Martedì, 02 Agosto 2011 23:17

Autore: Stefania Curzio

Immigrazione: riusciamo a capire perché questa gente rischia la vita, attraversando un pezzo di mare, per raggiungere le nostre coste? Siamo andati a cercare di capire, trovando anche altro, oltre alla speranza di una nuova realtà
Tutti i giorni, siamo bombardati dall’ennesima notizia del piroscafo o gommone ché è sbarcato sulle nostre coste o che è affondato prima di arrivarci, mietendo vittime di uomini, donne e bambini che scappano da qualcosa che noi persone, ignoriamo.
Sono tornata dal mio ultimo viaggio qualche giorno fa, sono stata sull’isola di Djerba sulla costa tunisina in uno dei migliaia di villaggi che l’offerta turistica mette a disposizione per la vasta clientela. Un buon villaggio, tutto perfetto, buon cibo, la gentilezza della gente del posto che si fa in quattro per renderti felice, pulizia, bel mare, la parte migliore della Tunisia, niente da dire, finché non esci fuori dal villaggio. Da solo, e senza escursioni organizzate. Ed è allora che viene il “bello”.
Mi faccio chiamare un taxi per raggiungere Midoun: in pochi minuti arriva, sono tre dinari, 1.80 euro, già da qui capisco quanto la vita costi pochissimo.
Mi fermo in un bar al  centro, dove è frequentato per lo più da uomini e pochissime donne europee accompagnate da uomini tunisini. Il tempo di ordinare un the che un ragazzo gentilmente mi chiede se può sedersi al mio tavolo, gli dico di si. È un bel ragazzo si chiama M. ha 28 anni e mi dice che vuole perfezionare il suo italiano, da lì a poco prendiamo confidenza e quando capisce che con me non c’è niente da fare, mi racconta la sua storia e la storia del suo paese: M. sta cercando una donna italiana da sposare, lui tutte le mattine si alza e tutte le sera va a dormire con questo chiodo fisso.
È un ragazzo molto carino, fuma ininterrottamente ed è molto nervoso, si vede dal modo di muoversi. Vuole andare via da questo paese, vuole scappare. Suo fratello ha sposato un’italiana e non fa che ripetere che è fortunato, che sta molto bene e che i genitori sono contenti della nuora. Anche un suo amico che ha 22 anni un mese fa si è sposato con una francese di 53 anni. Ripete che prima o poi toccherà pure a lui, basta aspettare.
Io gli faccio un sacco di domande e lui è in imbarazzo, ha capito che da lui voglio solo risposte, allora mi continua a chiedere, se voglio davvero la verità, mentre parliamo me lo ripete in continuazione e io gli rispondo sempre annuendo. E cosi arrivano le  risposte vere. Di un paese che è altro dallo sfarzo che vediamo nei villaggi.
Qui si campa con il turismo, se non c’è turismo non c’è lavoro quelli che lavorano come  lui in villaggi o in hotel, (i contratti sono tutti uguali) guadagnano 300 dinari al mese che corrispondono a 180 euro. Paga 50 dinari di affitto e vive con altre 3 persone, arriva al 20 del mese, poi si deve arrangiare. E come lui tanti altri, tantissimi. Mentre parliamo lui li saluta e mi racconta un aneddoto della storia di ognuno di loro. Di come si arrangiano per sopravvivere. Mi racconta che tutte le settimane arrivano gruppi di sole donne in vacanza qui, e non vengono solo per il mare e l’isola di Djerba, vengono qui per gli uomini tunisini, apprezzati per le loro doti amatorie.
Donne di 30 anni ma anche di 40, 50 e di 60. Single ostinate, frustrate, separate e divorziate. Le turiste pagano i loro conti al ristorante, bar e club e offrono diversi regali. E loro in cambio offrono se stessi e quando sono particolarmente bravi a volte riescono a sposarne qualcuna e questo vuol dire un visto per l’Europa. Non ha importanza se è bella o brutta, giovane o vecchia. L’importante è scappare da questo paese, dove non c’è altro che miseria.
Per lui è stato molto umiliante raccontarmi tutto ciò. E’ un ragazzo forte e molto orgoglioso. Se non ne avesse bisogno, non farebbe quello che fa. Nonostante ciò quando ci salutiamo, mi bacia e mi lascia il suo numero di telefono. E capisco qualcosa di più profondo, che lui non mi ha detto: davvero, da queste parti, è la speranza l’ultima a morire.
 
Paola Gentili
 
 
 
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