La “sora Annita” e il merlo canterino

Giovedì, 02 Febbraio 2012 17:06

Autore: Stefania Curzio

C’è una malattia che cancella la memoria, la distorce, toglie pezzi al puzzle della vita
Chi non ha mai avuto contatti con il morbo di Alzheimer non può capire, esattamente, quanto devastante possa essere vedere un proprio caro trasformarsi, sino al punto di diventare un perfetto estraneo. E’ un processo che ferisce, prima ancora del malato, coloro che gli stanno vicino. E’ una malattia subdola e feroce. La trasformazione avviene quasi sempre lentamente, a volte in modo impercettibile, cominciando dalle piccole ed insignificanti cose di tutti i giorni: piccole dimenticanze, vuoti di memoria che, soprattutto se sopraggiungono in età avanzata, sono scambiati con i segni del tempo che passa, a volte addirittura fonte di ilarità da parte di chi non comprende.
“Così mia madre ha soltanto ricordi. Occupano tutto lo spazio. Quando la vedo non succede niente. Mia madre se n'é andata pian piano". Con queste parole Tahar Ben Jelloun, scrittore e poeta marocchino, descrive nel suo libro il declino dell'anziana madre, colpita dal morbo di Alzheimer. Ed è esattamente prepararsi a questo “lungo addio” che sconquassa dal di dentro i sentimenti che prova il familiare del malato, soprattutto la disperazione nel rendersi conto che la persona amata non riconosce più, non restituisce un gesto di affetto se non come cortesia formale, deanimata. A tal proposito ricordo una scena alla quale ho assistito in un centro di riabilitazione di Genzano, alle porte di Roma. Un anziano signore aveva la moglie ricoverata per un periodo di trattamento e tutti i giorni si recava a farle visita. La coccolava, la imboccava, continuava a parlarle della loro vita. Lo incontravo sempre quando andavo a trovare la “sora Annita.”
Qualche familiare di altri pazienti provava a dissuaderlo dal compiere, tutti i giorni, il lungo tragitto che dalla sua casa portava all’ospedale, dicendogli: che sua moglie era tranquilla, che non doveva preoccuparsi, che avrebbe dovuto pensare anche alla sua salute. Una giovane inserviente arrivò a dirgli: “Nonno, sua moglie, purtroppo, non la riconosce più! Non ricorda nemmeno chi lei sia!”. 
Lui, senza distogliere lo sguardo dal piatto di minestrina rispose semplicemente: “ Ma io so e mi ricordo chi è lei…” e continuò ad imboccare la sua compagna. Trovo che in questa frase, così apparentemente semplice, sia racchiuso tutto ciò che è necessario sapere da parte di chi per sua sfortuna deve assistere o convivere con una persona malata di Alzheimer.
La mia esperienza è durata più di dieci anni, da quando la ‘sora Annita’ è venuta a vivere con noi.
Qui ricorderò solo l’ultima parte della sua esistenza, quando, trasferitomi con la famiglia a Fiumara Grande, lei passava le giornate di bel tempo in giardino, a chiacchierare con un merlo che sembrava farle visita ogni giorno. Nei loro dialoghi, la costante, era lo zirlare del merlo che la ‘sora Annita’ aveva tradotto con: “Vuoi venire?”.  Se conoscete il verso del merlo, e ripetete quella frase, vi accorgerete che, in effetti, un’assonanza metrica esiste.
La sua risposta era sempre la stessa: “Nun vojo andà da nessuna parte!” ripeteva boffonchiando, scocciata. Aveva ormai difficoltà a riconoscere volti e persone, ma furbescamente, ad ognuno che passava per la casa si limitava a dire diplomaticamente: “A te t’ho già visto…" magari associando, pochi minuti dopo, l’identità a qualche compagno di giochi di bambina davanti alla chiesa di S. Maria in Trastevere. 
Aveva anche uno spasimante di gioventù, la sora Annita,  che le ha mandato dei fiori, nel giorno del suo compleanno, per tantissimi anni, anche se, ultimamente, lei non ricordava più il nome, o meglio, lo confondeva con mille altri nomi e con mille altre storie che si intrecciavano nel disordine devastato della sua memoria. Ci ha lasciati il giorno di Natale; ed io voglio pensarlo come l’ultimo gesto per farsi ricordare.
Vi sembrerà strano, ma vi prego di credermi, pur facendoci attenzione, quel verso particolare del merlo, nel mio giardino, non lo abbiamo più sentito.
 
Edoardo Morello
 
 
 
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