La guerra dimenticata "28 ottobre 1940/2016"

Venerdì, 28 Ottobre 2016 16:05

Autore: Stefania Curzio

Menicuccio: "Ho visto tanti amici rimanere sulle cime sassose dei monti albanesi"

di Gianluca Zanella
 
Settantasei anni sono passati dall’entrata in guerra dell’Italia contro la Grecia, settantasei anni da una delle campagne più disastrose e più taciute del secondo conflitto mondiale. Tutti conoscono (o almeno dovrebbero) la grande tragedia della campagna di Russia, così come molti hanno sentito parlare di El-Alamein. Pochi, invece, quelli che ancora ricordano il monte Golico, i fiumi Vojussa e Drin, le località di Argirocastro e Tepeleni, il ponte di Perati. Sono in Albania, là dove ancora oggi la terra restituisce i resti di migliaia di morti insepolti. Italiani, ragazzi tra i diciotto e i venticinque anni. I nomi di alcuni di questi morti dimenticati si possono leggere sui quei monumenti che sorgono in ogni paese, ma a cui nessuno fa mai caso. C’è anche un canto degli alpini: nasce nella Prima Guerra Mondiale, ma le parole furono cambiate e fino a qualche anno fa nei circoli dei combattenti ancora si cantava
 

"Sul ponte di Perati
bandiera nera:
l’è il lutto degli alpini
che va a la guerra"
 
Furono proprio gli alpini a pagare il più alto tributo di sangue. La divisione "Julia" (in seguito definitivamente decimata durante la ritirata in Russia) perdette migliaia di uomini. È stata una campagna sanguinosa, quella di Grecia. Se si considera il fatto che fu relativamente di breve durata (ottobre 1940 - aprile 1941), è una delle operazioni militari del Regio esercito che conta più vittime: 40 mila tra morti e dispersi; 50 mila feriti; 65 mila tra congelati e ammalati (sono cifre in difetto). Eppure nessuno se lo ricorda più. Nessuno ricorda l’inutile mattanza (trasformata spesso in sacrificio) verso cui furono lanciati tanti, tantissimi ragazzi. Riusciamo a immaginare, nel 2016, cosa può voler dire perdere un figlio in guerra? O magari avere un padre disperso, tornare a casa mutilati? Difficile, soprattutto da quando i “nonni” sono cominciati a mancare. Sempre meno i testimoni diretti, sempre più opachi i ricordi di chi rimane.
 
Vive a Maccarese, in zona Carciofaia, uno degli ultimi reduci di quella triste campagna. Domenico Valentini, per gli amici “Menicuccio”, classe 1920.
Novantasei anni, ne aveva venti quando fu arruolato nel 47° battaglione fanteria di montagna "Ferrara". Memoria ferrea, grande lucidità di riflessione, Domenico non ha dimenticato nessuna data, nessun nome. Mi fa vedere le foto, erano tutti ragazzini, qualche ufficiale arrivava ai trent’anni, ma erano i vecchi, l’eccezione, perché era difficile farsi vecchi in quelle condizioni. Mandati a combattere una guerra moderna con i fucili della Prima guerra mondiale (e non è un modo di dire, erano proprio gli stessi), senza munizioni, senza artiglieria e senza veicoli a motore. Per spostarsi c’erano i muli. Ricorda le infinite marce lungo le strade fangose dell’Albania, il paesaggio aspro, la fame, il gelo che non permette nemmeno di orinare. Ancora meglio ricorda i combattimenti: l’avanzata rocambolesca fino in Grecia, il contrattacco di greci e inglesi e la lenta, sanguinosissima ritirata nel cuore dell’Albania, fin quasi ad essere ricacciati in mare (provvidenziale l’intervento dei tedeschi nell’aprile 1941).
Mi fa vedere una foto, mi dice i nomi di quei ragazzi sorridenti, che sembrano in guerra quasi per gioco. Ne prende un’altra, altri ragazzi "Questi sono morti" mi dice. Ha visto tanti amici rimanere sulle cime sassose dei monti albanesi, interi reggimenti spazzati via. Ricorda tutti, il giorno in cui sono morti, quanti anni avevano. Nel 1941, quando venne fatto l’appello della sua compagnia, su circa seimila effettivi dell’inizio, erano presenti solamente in poche centinaia. Sul corpo le ferite: mi mostra la cicatrice di una scheggia di granata: "Si è infilata quasi dentro la trincea. Io ero sdraiato a terra per prendere qualcosa sotto la branda, forse l’elmetto. Mi sono salvato la vita". Un suo compagno, in quell’occasione, gli è morto davanti "Ricordo ancora i suoi ultimi rantoli" mi dice con gli occhi velati di lacrime.
 
Ogni volta che lo incontro, parliamo dell’evento che ha riempito la sua vita e ogni volta ci stupiamo dell’indifferenza generale. "I ragazzi di oggi devono sapere, devono ricordare quello che ci è successo alla loro età. Se nessuno si ricorda più di queste cose è un guaio". Ha ragione Domenico, sarebbe un guaio, soprattutto oggi che ci troviamo a vivere un’epoca di grandi cambiamenti globali. Dimenticare è l’ultima cosa che ognuno di noi dovrebbe fare, onde evitare di cadere negli stessi errori del passato.
 
 
 
 
 
 
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