Il cugino mercenario: una storia scomoda di famiglia

Sabato, 31 Dicembre 2011 18:18

Autore: Stefania Curzio

A volte accade, scavando nel proprio passato, di scoprire cose che credevi perdute
Saltano fuori dai bauli dei tuoi traslochi della vita sotto forma di immagini, lettere, oggetti;  e in un attimo ti proiettano  in una dimensione parallela che ti porta a ricordare: nomi, facce, episodi.
E’ il caso di questa lettera (clicca qui), scritta da Goffredo Parise a mia zia per annunciarle, dal Biafra dove nel 1968 Parise era corrispondente di guerra per il Corriere della Sera, la morte di mio cugino: Piergiorgio Norbiato, ex Marò della Marina Italiana, poi soldato di ventura, mercenario o, più modernamente, contractor. A dirlo oggi, forse viene immediatamente da pensare, come analogismo, a Fabrizio Quattrocchi  ucciso in Iraq nel 2004, ma poi leggendo e documentandosi si viene a scoprire che lo stesso mitico Che Guevara per un periodo (intorno al 1965)  fu nel Congo al sostegno del movimento marxista dei Simba, favorevole a Patrice Lumumba.
Avevo solo dodici anni a quel tempo, ma ricordo alla perfezione quando squillò il telefono  e mia madre rispondendo si mise a parlare in veneto, capii che si trattava di una delle mie zie, lo faceva solo con loro, non c’era modo di equivocare. Ho imparato il veneto dalle loro telefonate. In effetti non mi sbagliavo, era zia Tosca, ma l’espressione che subito lessi nel viso di mia madre, non lasciava presagire niente di buono. Quando, poco dopo, riattaccò ebbe appena il fiato di sussurrare: “è morto Giorgio…” e si mise a sedere in cucina, con la testa fra le mani. Io non capii immediatamente a chi si riferisse, ma bastò un secondo per fare un rapido escursus mentale sulla parentela e capii che si trattava di mio cugino: Pier Giorgio, anche se nessuno lo ha mai chiamato con quel nome tronco frutto di un vezzo, ma mai utilizzato. Per noi è sempre stato Giorgio, e basta.
E ancora, quando in casa sfogliavamo fotografie e lettere piene di menzogne rassicuranti sullo stato dei fatti. Accanto alle lettere un basco, un sudario di cotone, ed una agendina; gli unici effetti personali che mia zia abbia mai riavuto di suo figlio.
Tralasciando la lontananza di ideali che ora, da persona adulta, mi divide da lui, il ricordo che ho di Giorgio è stranamente lucido, anche dopo tutti questi anni. Lo ricordo col suo sorriso guascone, sempre pronto alla battuta, buono e generoso, anche troppo.  Così lo definisce nel libro “L’anatra blu” il giornalista Orazio Ferrara: “…”Pier Giorgio Norbiato, ex marò della Marina Militare italiana sempre affascinato difensore delle cause impossibili, disperate, perdute in partenza…”

Ho sempre pensato, dopo la sua morte, che era esattamente la fine che spettava ad un uomo come lui e lui stesso ne era consapevole. “Mamma io non arriverò mai a cinquant’anni” era una frase che ripeteva spesso. Oppure: “quando mi ammazzano, tu diventi ricca” riferendosi alle assicurazioni stipulate per contratto, accettando questo o quell’incarico. Invece mia zia non prese una lira, come forse capirete dalla lettera di Goffredo Parise, perché Giorgio andò a morire nell’unica guerra che decise di combattere gratuitamente.

Dopo tutti questi anni e con l’avvento di internet scopro che il suo nome salta fuori in qualche pagina di nostalgici e in qualche libro che tratta di quel periodo. Sì, perché Giorgio non era un mercenario qualsiasi;  ha ricoperto spesso ruoli di comando: in Congo nel 1965 con Ciombè e poi in seguito nell’autoproclamata repubblica del Biafra, durante la guerra civile nigeriana, dove morì  nella battaglia di Port Harcourt nel maggio del 1968. Ricordato come Major George; tanto che il suo nome campeggiava su molti  dei mezzi blindati del minuscolo e sguarnito esercito biafrano.

Su un sito francese si legge anche la modalità in cui venne ucciso: “Accerchiato dai nigeriani venne ferito gravemente e chiese ai suoi di scavare una buca dove si piazzò con un mitragliatore Mag. Si fece uccidere sul posto, permettendo ai suoi uomini di ripiegare”.  Nella lettera di Parise invece si  racconta una storia diversa anche se per certi tratti molto simile. Non sapremo mai la verità.

E’ certo  che la controversa figura del mercenario sanguinario e predatore, mal si sposa con il ricordo del cugino premuroso che mi regalò due gemelli d’oro per il giorno della mia cresima, che mi teneva per mano nelle passeggiate intorno al lago. E ciò mi fa riflettere sulla poliedricità degli aspetti della mente umana e per prenderla in filosofia, sulla vita stessa.
Resta questa lettera, scritta da un grande giornalista e scrittore come Goffredo Parise, resta il mio ricordo di Giorgio, così lontano da ciò che probabilmente lui stesso è stato. Resta una storia scomoda e per questo mai scritta se non in qualche reportage giornalistico, tra i quali spicca quello di Enzo Biagi “Soldati di sventura” che ogni tanto, ancora oggi ‘Rai Storia’ manda in onda, dove Biagi, tra le altre cose, intervista il famoso Rolf Steiner: comandante delle forze biafrane citato nella lettera da Parise. Resta la certezza che, dei tanti italiani morti in circostanze analoghe  in quel periodo e, vi assicuro, sono tanti, mai nessuno racconterà, perché non ne vale la pena. Sono i brutti sporchi e cattivi che, per una società come la nostra, è sempre meglio ignorare.
 
Edoardo Morello
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