"La cicogna viene da Odessa. Storia di un'adozione"

Lunedì, 15 Giugno 2015 12:54

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Un libro lieve e toccante di Barbara Germani, dove svela un mondo poco raccontato

Un libro lieve e toccante, "La cicogna viene da Odessa. Storia di un'adozione" di Barbara Germani, svela un mondo poco raccontato. Un'esperienza ricostruita con candore, cercando di essere onesta fino in fondo anche nello stile della scrittura.

Un diario-cronaca semplice, onesto, sincero e appassionato, che racconta di come l’autrice sia diventata mamma adottiva di un bambino ucraino, dopo aver subito un’operazione che l’aveva resa per sempre, come scrive, una NON-MAMMA.
L’esperienza dell’adozione è ormai molto diffusa e però mai mi era capitato prima d’ora di viverla così dappresso, condividendo le emozioni, tutt’altro che a senso unico, ma anzi complesse, di accettazione-rifiuto, di presa di coscienza, di tormento morale, di un genitore adottivo che ha vissuto tutta la trafila di un’adozione internazionale in un paese disagiato. Una lettura, per l’appunto, che mi ha commosso e che consiglio perché, al contrario di quanto possa sembrare sulle prime dal titolo, dalla confezione editoriale ecc. non è il solito sfogo più o meno edificante sulla maternità che puoi trovare in mille varianti sugli scaffali di una libreria o fra le colonne di un qualunque giornale femminile, ma invece è una testimonianza toccante, priva di ammiccamenti, su uno di quei momenti unici e irripetibili che si trova ad attraversare un essere umano nel corso della sua vita. L’autrice non schiaccia mai la sua esperienza nella semplificatoria esemplarità di un fenomeno, non promulga delle verità universali, non vuole convincere nessuno di niente. Si racconta invece con candore, cercando di essere onesta fino in fondo anche nello stile della scrittura: concreto, misurato, mai sentenzioso, mai poeticistico.
 
L’antefatto doloroso è l’operazione chirurgica che la rende ineluttabilmente sterile, con la delusione e l’angoscia che essa comporta e persiste a lungo in strascichi psicologici e morali: la malcelata invidia per le amiche incinte, il disagio nei rapporti coi loro bambini e coi bambini tout court, le difficoltà della coppia, il rovello di una decisione alla quale ti senti votata ma di cui hai anche tanta paura. Paura di non essere all’altezza, anzitutto, paura del giudizio degli altri, paura di non arrivare fino in fondo alla lunga e sfibrante trafila burocratica che dura degli anni, paura di fare un torto al bimbo o alla madre naturale.
 
L’autrice racconta dei suoi viaggi in quel paese sconosciuto, freddo, povero, lontano. Prima Kiev, poi Odessa, con la loro miseria evidente in mille dettagli: una povera vecchia che vende per strada una mela, una sola; i mendicanti, l’energia razionata, il  tetro grigiore dei palazzi e delle strade, i simboli dell’antico regime comunista ormai decrepiti, la tristezza e le privazioni sui volti della gente… Fino all’approdo al palazzone giallo che ospita i bambini pronti per l’adozione, che “si trova all’interno di un giardino spoglio, nel quale la neve, a chiazze, copre pietosamente il terreno bruno. Altri cani randagi si trascinano nella neve sollevando una per volta le zampe nel tentativo di allontanare dai polpastrelli la morsa di ghiaccio”. A un certo momento un’assistente porta un bambino piccolissimo, denutrito, “un essere minuscolo, scuro, con una quantità infinita di capelli dritti in testa, che piange, piange e non smette di piangere”. Ma non è il suo, è un altro, destinato a una delle tante coppie in attesa come lei e il suo compagno.
 
Il suo arriverà più tardi, frutto di “un parto naturale, una rinuncia per povertà, un nome e un nomignolo”. Anche lui è minuto, denutrito, anche lui, come tutti gli altri, ingozzato di tè per riempirgli lo stomaco e dargli un’illusoria sensazione di sazietà. Ecco, il momento è arrivato finalmente, foriero di gioia ma anche di un’oscura paura. Però passerà ancora del tempo prima del rientro in Italia, dopo altri intoppi burocratici, alcuni riti grotteschi (come i fiori da consegnare da ogni coppia di adottanti all’istituto), le regalie di pochi dollari per accelerare le pratiche. Giorni durante i quali il piccolo comincia ad apprezzare il calore materno e i suoi occhi ad adattarsi alla luce del sole che non aveva mai conosciuto. Il libro è corredato da alcune fotografie che ritraggono il piccolo Michele nei vari momenti dell’adozione e da un paio di poesie in romanesco a lui dedicate.

Andrea Carraro, scrittore e giornalista
 
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