Lettera a Matteo Renzi

Mercoledì, 09 Luglio 2014 21:54

Autore: Matteo Fasano

Sono una insegnante ...

Egregio Primo Ministro, a scriverle è una docente di italiano e latino in servizio presso uno dei tanti licei della città di Roma. Non sono una “renziana” di prima istanza, ma non posso nasconderle di apprezzare il suo modo deciso, pragmatico ed a volte irriverente nel gestire la non facile situazione del nostro Stato.
Amo profondamente il mio lavoro, ci credo e, come tantissimi altri colleghi, dei quali, fra l’altro, una è sua compagna di vita, ritengo che sia uno degli ultimi, insopprimibili strumenti per garantire alle nuove generazioni un briciolo di libertà, di quella libertà che ha nella cultura il mezzo più efficace per essere raggiunta.
Mi rivolgo a lei direttamente perché, alla luce di quanto sopra esposto, ho sicuramente più speranza nel suo operato che in quello di colei che, probabilmente per motivi di equilibrio politico, è stata scelta come “nostro” Ministro.
Le dichiarazioni della Professoressa Giannini in questi primi mesi di incarico e soprattutto, in relazione a ciò che andrò ad esprimere, quelle fatte nel suo intervento il 25 giugno al convegno promosso da Treellle alla LUISS sull’opportunità di non ipotizzare neppure l’idea di chiudere le scuole paritarie perché ciò, tra l’altro, comporterebbe un aggravio di circa 6 miliardi della spesa statale, mi sono sembrate oltremodo preoccupanti.
Vengo al punto. Ho iniziato, giovanissima, il mio impegno nella scuola con un’esperienza annuale in un istituto paritario. La situazione fu talmente disorientante e distante dalla mia idea di docenza che si concluse nell’arco di un anno scolastico: non allinearsi equivalse a non vedersi riconvocata a settembre.
Quest’anno, 24 anni dopo, ormai finalmente in ruolo da circa un decennio, dopo un duro ed estenuante ma mai sconfitto precariato, mi sono ritrovata di nuovo in una scuola paritaria come docente esterna negli esami di stato. Non so se il fato si abbatta su di me facendomi confrontare con “particolari” esempi di scuole paritarie, ma mi sono ritrovata a respirare la stessa atmosfera di allora.
Penso, dispiacendomi per il dissenso con la professoressa Giannini che, tra l’altro, ripropone affermazioni e ipotesi contrattuali di montiana memoria, come l’idea di un aumento dell’orario docente costruito, tra l’altro, anche a scapito del precariato, che la riforma della Scuola debba passare proprio attraverso la chiusura di molti, se non tutti, questi istituti i quali, a quanto si è potuto constatare, non garantiscono tanti di quei caratteri connotativi in grado di rendere tale istituzione un luogo di apprendimento e formazione.
Colpa di ciò non è certo attribuibile ai nostri colleghi che ogni giorno tanto si impegnano in tali istituti, quanto piuttosto alla gestione degli stessi che permette a molti giovani di afferire agli esami conclusivi non solo attraverso percorsi d’apprendimento in cui risultano assenti interi anni scolastici (grazie ai ben noti esami di idoneità), ma soprattutto con un grado di preparazione assolutamente insufficiente, per non dire, in alcuni casi, quasi inesistente.
Questo, mi perdoni, egregio Primo Ministro, nella scuola pubblica è un evento molto più raro. E citare, da parte della professoressa Giannini, nel corso dello stesso convegno, Don Milani come esempio di una pedagogia mondiale nata in contesto diverso dalla scuola statale, mi sembra una evidente offesa alla memoria non solo di un grande uomo ma di un simbolo di un apprendimento che certo non passa per la monetizzazione dell’obiettivo.
Rette impensabili, non per essere più preparati, ma per non esserlo affatto.
E per offrire un quadro più preciso della situazione, ritengo non trascurabile riferire che, nel corso degli esami, siamo stati anche oggetto di visita da parte degli Ispettori del Ministero che io personalmente, in 24 anni, non avevo mai avuto il piacere di incontrare ma che non sono sembrati molto disponibili ad accogliere dubbi e perplessità su quanto si stava riscontrando. Alle riserve hanno risposto sottolineando la sovranità di ogni commissione in merito alla valutazione. Ma secondo lei, sarebbe stato possibile, come novelli Don Chisciotte, operare noi ciò che il sistema non vuole fare, né ritiene opportuno progettare per il futuro?
Ecco: la Scuola, le scuole.
Scuole sempre più deprivate di fondi, che lottano ogni giorno per formare il futuro di questa nazione nel modo più completo ed onesto possibile ed in cui, talvolta, le famiglie non accettano neanche di partecipare con il “contributo minimo volontario”.
Altre “scuole” in cui i genitori sono disposti a pagare rette indecorose, per di più in un momento come questo, solo per garantire ai loro figli di continuare ad essere la generazione dei diritti e non dei doveri, consolidando l’idea che la fatica non paga ma i soldi sì e non averli potrebbe significare essere perdenti.
 
Lettera inviata da: una insegnante
 
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